martedì 7 gennaio 2014

UN REFOLO seconda parte

 La mia compagna era poco loquace. Ma che dico! non lo era affatto. Sembrava che la colpa fosse solo mia. Tentai di sdrammatizzare la situazione, ma non ci fu verso. Con dei secchi: - Sta zitto! – mi liquidava ogni volta. Mi sentivo solo, anche se ero in compagnia. Non più tardi di un’ora c’eravamo baciati, stretti, posseduti, ma una porta s’era chiusa. Un silenzio soffocante, più opprimente di quello che si soffre nei salotti d’attesa di medici o d’avvocati, separava due estranei reciprocamente insofferenti. Avrei voluto essere lontano, al bar, da te che mi attendevi.
 Durante una di quelle soste, mentre aspettavo che il tempo passasse, sbirciai un soriano; ne seguivo i passi felpati e la felina eleganza, quando il riflesso d’un lampone sul parabrezza mi offese. Che fortuna! Mi misi a giocare come un ragazzino con le luci che si riflettevano e si rifrangevano sul vetro. Strizzando gli occhi, mi perdevo alla ricerca di composizioni geometriche, di figure irreali, che i fasci luminosi e gli aloni con un leggero movimento sapevano creare. Bastava un nonnulla a raggiare un punto luminoso in lamine laceranti, e lungo quei fili dardeggianti smarrivo il mio tempo, lenivo il mio affanno.
 La mia compagna, appoggiata alla maniglia della portiera, si sorreggeva il capo in un atteggiamento mesto, pensieroso; i suoi capelli biondi, indorati dal sole estivo e dal mare, scendevano scomposti sin alle spalle; il suo profilo fine, da cammeo, si stagliava sul fondo oscuro. Anche scattando una foto non avrei mai impressionato tanta bellezza e una così languida malinconia. Sapevo che era bella, ma non a tal punto. Fui preso dall’impulso di darle un bacio, di stringerla: dominai l’istinto. Sarebbe stato come calpestare una distesa di neve o come strappare un fiore, non potevo rompere l’incanto di quel momento.
 Guardando con disprezzo sia me che Toni: - Brutte bestie! … Si può essere qualche volta delicati e sentimentali o è proibito? Va bene, non mi credete, pensate sempre che io sia uno scannatore di donne. Non importa, - beve un sorso e riprende.
 - La mia polo le stava stretta, evidenziava i suoi grossi seni a pera, arrivava a coprire sì e no l’ombelico. Fra le cosce spuntavano e spiccavano, sull’impronta lasciata dal costume, un ciuffo di peli; e quell’eccitante immagine vellicò le peccaminose intemperanze della mia fantasia.
 Sognai d’essere un principe dell’Ottocento. Alla mia corte, dame e cortigiane, invece di farmi la riverenza, alzavano i sottanoni e me la mostravano. A turno, i miei sudditi venivano ospiti al mio castello, che ovviamente era sempre in festa. Avrei conosciuto in tal modo tutto il pelo del reame. Con un editto avevo fatto abolire le mutande e avevo introdotto la nobile consuetudine, che la donna, incrociando un amico o un conoscente, dovesse alzare le sottane e gentilmente  mostrarla. Si sarebbe così potuto comprendere, dalla fretta o dall’indugio, la disponibilità della femmina. Naturalmente ne sarebbero state esonerate le minori di diciotto e le maggiori di sessanta.
 Per sradicare cattive abitudini e inveterati pregiudizi, istituii premi favolosi per le donna più generose, e severe punizioni a chi la lasciava marcire. Le donne ricche, pensavano d’averla più bella, le povere, d’averla più brutta, osteggiarono l’attuazione di queste riforme. Quando le classi sociali s’avvidero che, dietro alle apparenze, l’umanità era uguale, fu una gara a chi alzava maggiormente.
 Ero amato dalla borghesia e dalle classi meno abbienti di tutta Europa, perfino da oltre Oceano. Uomini di scienza e artisti mi manifestavano la loro simpatia. Sulle barricate i rivoluzionari brandivano il mio vessillo; i miei sudditi vivevano felici e contenti in rispetto delle leggi e con un gran senso di Giustizia. Per ovvi motivi, sarei stato in lotta con la Chiesa e l’Inghilterra. Ma sì, anche con l’Inghilterra. Avrei avuto grossi problemi con gli stati confinanti: orde assetate di libertà avrebbero premuto alle frontiere. Per farla breve: avevo liberalizzato il sesso, liberato la donna, offuscato Napoleone.
 Dalle risate ci rotoliamo sotto i tavoli. Saltan fuori tante e tali spiritosaggini da riempire un libro. In questo regno felice io vengo incoronato Gran Cerimoniere; Toni il Reale Collaudatore: sarebbe andato di paese in paese, di città in città a provare le donne che ambivano al premio. Ombre e dubbi svaniscono; siamo di nuovo amici. Vuotiamo i bicchieri; il vino infuoca maggiormente la calura estiva. Gianni, come una macina:
 - Mentre almanaccavo su questo stato bordello, uscii da uno stop. E per un pelo non mi trovai una Mercedes nel fianco. Il tizio alla guida strombazzò, imprecò, tirò degli accidenti, e, per mia fortuna, proseguì. Ci pensate in che casino mi sarei messo, se avessi provocato un incidente, o, peggio ancora, fossi finito all’ospedale? Io con solo i calzoni e l’altra senza mutande?
 Per l’inquirente ci sarebbe stato il mistero; per il prete lo zampino del diavolo; per l'etologo una nuova regola di vita; per il cronista un articolo in prima pagine. Se poi i particolari dell’incidente fossero giunti alle stampe, si sarebbero scatenate le quotidiane e capziose polemiche tra sociologi e psicologi; mentre dalla Germania, probabilmente, sarebbe giunta la notizia che un noto filosofo avesse interpretato l’episodio come l’avvenimento intellettuale più significativo dell’ultimo cinquantennio. Il liberarsi dagli indumenti in automobile sarebbe stato considerato come l’affrancamento dall’ultimo residuo di schiavitù. Allo scopo, sarebbe sorta una nuova filosofia, di cui sarei diventato l’indiscusso antesignano. Dietro questo vento, i firmaioli avrebbero sfornato fiumi di etichette; i naturalisti avrebbero scelto un nuovo vessillo; gli incapaci avrebbero creato una nuova Art; e così via …
 Adesso, mi permetto di celiare, ma iersera, ve l’assicuro, abbiamo preso un tale spavento, tant’è vero che la mia amica sconsolata mugolò: - Ma mi vuoi rovinare?
 E non è finita qui. Lo sapete bene anche voi che quando la sfiga vi prende di mira poi non vi molla. Orbene, iersera, non mi ha lasciato un momento di respiro. Ancora adesso porto addosso le impronte e lo strazio dei suoi terribili artigli. Non le fu sufficiente l’avermi guastato la serata con un refolo, con un vecchietto e con lo spavento d’un incidente, sentite un po’ quel che mi accadde ancora.
 Entrammo in casa verso le due e ci precipitammo a bere; calmata la sete, le mostrai l’abitazione: ne rimase entusiasta. Che brave le donne! Vanno e vengono in casa d’altri come se fosse la propria …
 Noo … non chiedetemi queste cose. Come potevo non aver rispetto di quella povera diavola dopo tutto quel che le era successo. Mascalzone sì! ma fino a un cento punto … Prima di questa interruzione, volevo dirvi che non ero affatto preoccupato che la mia amica girasse per casa: tanto non avrebbe potuto dimenticare o perdere qualcosa.
 Questa mattina, un po’ prima delle otto, è venuta a portarmi il caffè a letto. Con mia sorpresa, l’ho trovata serena, sicura di sé e vestita: s’era messa un abito di mia moglie. Dopo avermi dato un bacio, mi spiegò che aveva preso ventimila lire per il magnano e, senza darmi il tempo di dir qualcosa, se ne andò via.
 Intontito e ancora mezzo addormentato mi alzai. Con la tazza del caffè in mano andai alla finestra della cucina. La vidi attraversare il giardinetto e avviarsi al cancello. Il vestito di lino le stava corto e stretto, in controluce, manco a farlo apposta, notai che era ancora senza mutande. In quella, sentii gridare dalla Maria il nome di mia moglie. Lei, vedi beffa! Si voltò.
 La tazzina mi cadde e il caffè m’andò di traverso, lo sputai tossendo; m’uscì pure dal naso, mentre gli occhi mi si riempivano di lacrime. Eh, eh! … sono stato veramente fortunato: ho salvato le orecchie.
Guardo il Toni che non la smette di ridere, mi alzo, e vado al banco a pagare il conto.




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