giovedì 26 febbraio 2015

IL POSTINO


  Eravamo nel Sessantasette, un paio di giorni prima di ferragosto mio fratello mi lasciò a terra, e con una bella creola prese il volo per Parigi e Madrid.
 La partenza improvvisa e la notizia comunicata solo a pochi intimi costrinsero la maggior parte degli amici di mio fratello ad arrivare in bottega per tutto il 21 agosto: giorno d’apertura del negozio dopo una settimana di sosta per le ferie estive. Fu un vero via vai. Entravano di corsa e, con faccia tosta, chiedevano a voce alta a mia madre:
 - È vero che Vito è fuggito?- i più delicati.
 - Ma è vero, signora Monti, che Vito è fuggito con una negra? - i più tremendi.
 E senza attendere risposte, ma solo dopo averne visto le sue occhiate, se ne uscivano ancor più veloci.
 Povera mamma, quanto ci soffrì! E quante ne disse a riguardo della ragazza è meglio lasciarvelo immaginare. Forse ne disse ancor di più sul conto di mio fratello per avermi lasciato a secco di denaro e illuso di trascorrere, assieme e per la prima volta, le vacanza estive. Lacrime di rabbia e di dolore che non furono così tante rispetto a quelle versate quando Vito andò a sposarsi a Panama.
 Partito a fine di luglio, sarebbe ritornato a metà settembre. A mamma e a me l’impegno di tenere aperto il negozio. Non potevamo volare fin laggiù, non solo a causa della bottega, ma anche perché il prezzo dell’aereo a quei tempi era piuttosto salato. In casa, si rimpiangeva il disagio di averci lasciato in mano il negozio dove lui era più competente.
 A mamma, sentimentale e romantica, piacevano tanto i soldi, e il suo sogno più grande era di farci sposare una donna ricca e non una che veniva da oltre Oceano e di cui non si sapeva poco o nulla. Non aveva tutti i torti. In fin dei conti, aveva due gran bravi ragazzi, laureati e con qualche soldino alle spalle, poteva quindi vantar qualche pretesa. Sfumato questo sogno, le rimanevano solo le lacrime per le possibili chiacchiere della gente. A scottare maggiormente sarebbero state quelle dei vicini di casa, dei clienti, perfino di quelli che non ci conoscevano affatto e che, pur di parlare, avrebbero detto un sacco di cattiverie. Si sa che la bontà ha una sola sfaccettatura mentre la cattiveria ne ha mille. E a queste fisime mia madre ci girava attorno e ogni mezzora ne aveva una nuova per potersi affliggere. Ma per quanto elucubrasse non si sarebbe mai aspettata quel che arrivò alla fine d’agosto. 
 Accadde che Vito e Itza, oltre alle telefonate e a qualche lettera, spedissero in negozio una cartolina di saluti. Era una vecchia fotografia: un dagherrotipo che ritraeva una capanna con davanti una numerosa famiglia di Indios.
 Il nostro postino, che sapeva di mio fratello, forse senza cattiveria ma solo per fare dello spirito, entrando in negozio con il sorriso e lasciando sul banco la cartolina:
 - Siora Monti, i ghà mandà la futugrafia dei parent!(1) 
 Ci voleva anche questa.
 Per un paio di settimane e forse più, all’ora di pranzo, invece di trovar pronto da mangiare, ero costretto a cucinarmi un paio d’uova, a cibarmi di tonno e cipolline, oppure a comprarmi dei panini con salame e formaggio. Non tutte le sere poi potevo andare a rifarmi in trattorie. Per non lasciarla sola, per consolarla e invogliarla a mangiar qualcosa, imparai a preparare dei risotti e a cucinare delle scaloppine.
 Mamma non riusciva a darsi pace. Quel maledetto postino chissà quante ne avrebbe raccontate in giro. E lei ne immaginava e ne rimuginava di tutti i colori.
 Senza ottener grandi risultati, la portai dal medico che le ordinò dei calmanti e dei ricostituenti. Si riprendeva solo un po’ quando di domenica, dopo aver fatto assieme una visita al cimitero, la depositavo da sua sorella Cleofe, in modo che si distraesse e che non pensasse al negozio, agli sposi e su ciò che la gente avrebbe malignato. Non avevo altro rimedio.
 Un giorno, fra tutte quelle sue lacrime riuscì a strapparmi perfino un sorriso. Troppo bella questa sua uscita per non doverla raccontare!
 Mentre sparecchiava la tavola, la sentii borbottare:
 - Non ghé più religion! … Anca el pusten el me tol per el cul! (2)


  (1)   Signora Monti, le hanno spedito la fotografia dei parenti.
  (2)   Non c’è più religione! … Anche il postino mi prende per il culo!

 

 

 

giovedì 19 febbraio 2015

IL BACCALA'


  La prima volta mi successe a Padova.
 Tanti anni fa, la ricorrenza di Sant’Antonio di Padova capitò di domenica, e con mia moglie si fece un salto al santuario. La bella giornata, nonostante gli aliti della Bora, invogliava all'aperto. Dopo la cerimonia in chiesa, a piedi si prese la direzione che porta alla stazione ferroviaria. All’altezza del Comune e dell’antico ingresso dell’Università, mia moglie mi fece notare un cagnolino che seguiva la sua padrona.
 - Guarda, Enzo, com’è carino!
 Dirlo cane è una parola un po’ grossa, in ogni caso, era un batuffolo riccio, pieno di nastri e di gale, con una copertina ricca di lustrini e brillantini come se dovesse andare a una festa.
 Chissà cosa mi prese! Forse un attacco di logorrea, oppure la voglia di esibirmi e far lo scemo; sta di fatto che mi fermai  davanti al cane e a voce alta:
 - Non dirmi che sei un cane? Ma ti sei visto bene allo specchio?... Non sei affatto carino, lo sai? Sei solo ridicolo!... Ah, già! Ma non è colpa tua … Vorrei vedere la faccia di quella cretina che ti ha conciato così! … Fa una cosa: ritorna a casa e va a struccarti! Se poi ti riesce di cambiar padrona fallo! … e alla svelta!  
 Qualche secondo dopo, una quarantenne in pelliccia si chinò, raccolse il cane e, dopo avermi dato un’occhiata di quelle che ti accoppano, s’infilò nella prima via di sinistra e sparì.
 Quel che non mi disse mia moglie ve lo lascio solo immaginare, e solo dopo aver risposto che:
 - Guarda che siamo stati da Sant’Antonio di Padova e non da quello del Porcellino. Non me la sono presa con quella povera bestia, ma con quella deficiente della sua padrona che vuol così bene agli animali che porta la pelliccia. Non dirmi che sbaglio! Pensa se quel povero cane si rendesse conto di come è stato ridotto? 
 Riuscii a calmarla un poco. E ne dissi tante e poi tante che alla fine, prima di salire sul treno, le strappai pure un sorriso.
 Più o meno, lo stesso episodio s'è ripetuto qualche anno dopo qui a Verona in Piazza delle Erbe. Questa volta però la faccenda andò diversamente. La bella trentacinquenne, anche lei in pelliccia e forse anche un po’ più troia(1) della prima, mi mandò volgarmente a quel paese senza lasciarmi il tempo di giustificarmi o di replicare. L'episodio si svolse tanto in fretta che rimasi a bocca aperta. Oh, sì! L’incrociai altre volte. Ma per timore che volassero tra noi parole grosse, giravo alla larga. 
 Un giorno però, che ero in compagnia del mio amico Toni Gussa, questo bravo figlio di … come la vide, con entusiasmo e pieno di complimenti le andò incontro. Dagli abbracci, non c’erano dubbi che si conoscessero piuttosto bene, e d’altra parte, lei era una gran bella gnocca (2) che non poteva essere ignorata dal mio Toni. Irritato da quella scena, mi ritirai dietro ai tavolini d’un bar, nonostante quel visone selvaggio mi avesse notato e avesse fatto un cenno sulla mia presenza a Toni, sempre troppo lento e lungo quando attaccava bottone. Nell’attesa, ogni tanto volgevo l’attenzione da qualche altra parte quando fui incuriosito dal fatto che Toni avesse sollevato il cagnolino, e se lo fosse portato davanti al naso facendoselo leccare. 
 Come Toni ritornò, lo assalii con un sacco d’improperi, e poi:
 - Ma cosa ti salta in mente? Non ci si può far leccare la faccia da un cane, e lo sai il perché? Quel caro cagnolino, oltre a leccarsi continuamente il culo, ha anche annusato quelli degli altri cani e, prima di pisciare, ha messo il naso su tutti gli angoli delle vie. D’ora in poi, stammi alla larga e per cortesia non far accenni neanche per scherzo a un abbraccio oppure tentare di offrirmi un assaggio dal tuo bicchiere? … Hai capito? 
 - Ma sai chi è quella? - cercando di cavarsela.
 - Certo che lo so! … È una cretina che concia il suo cane in quel modo.
 - No, è l’amante di … ed è una donna bellissima. Ma non ho capito perché ce l’hai tanto con quel povero cagnolino? È un cane lecchino, li chiamano cani da salotto, ma sono cani lecchini.
 - Ma tu l’hai preso in braccio? E ...
 - Per forza! Come avrei potuto sapere che alito poteva avere? E oggi, aveva proprio l’alito che sapeva di baccalà.
 - Scusa sai, sarò pure ignorante, ma i cani non mangiano pesce.
 - Questo lo so. Ma ti ho detto che è un cane lecchino, e che oggi deve aver leccato qualcosa che sa di baccalà, perché due son le cose che sanno di baccalà.



 N. B. Eh, sì! il mio Toni la sapeva lunga. 



  (1)   Prostituta.
  (2)   Donna bella.

 

 

 

venerdì 6 febbraio 2015

LOQUE


  Rare le volte a cui non ho risposto a offese o a basse insinuazioni. E non ne sono pentito. Se mi fossi difeso, nella maggior parte dei casi, non avrei ottenuto alcun vantaggio oltre allo sfogo.
 Spesso poi, non sappiamo toglierci con disinvoltura da alcune situazioni imbarazzanti, a volte, addirittura le peggioriamo. Ora vi racconterò un episodio che si risolse, per mia fortuna, nel migliore dei modi.
 Negli anni Sessanta, trascorrevo le vacanze estive per lo più sulla Riviera Romagnola. Poco mare e molta vita notturna. E di notte, se non trovavo prede in qualche locale traslocavo in altri, sempre alla caccia di selvaggina. Solo all'alba m'arrendevo.
  Era stata una serata nata storta. Sia a me che al mio amico era andata proprio male. Nessuna!Neppure uno scorfano aveva abboccato. Ed era già passata da un bel po’ la mezzanotte. Fuori dal terzo locale, il mio amico, un baldo e belloccio piacentino che lavorava nell’azienda di trasporti di suo padre, bloccò due biondine e le convinse a unirsi a noi per fare un salto in un night di Gabbice Monte.
 Salii dietro alla sua Seicento con una delle due. Portava una gonna corta e mostrava due cosciotti come quelli dei Tre Porcellini. Come un lupo mannaro non ressi e allungai le mani, lei mi respinse. Andai ancora all’attacco. Il mio amico non aveva ancora innestata la terza che la mia vicina rivolgendosi all’amica davanti:
 - Loque el comincia a stricher! (1) 
Probabilmente l'ultima parola  non l'avevo afferrata bene o l'avevo travisata, fatto sta che mi rivolsi al mio amico in questi termini:
 - Beh, hai sentito bene?... Abbiamo raccolto due orfanelle che parlano in Latino:  quoque, cuiusque, cuius quique. Non è facile raccogliere al giorno d’oggi due belle ragazze che parlano in Latino. Forse son state educate in qualche orfanatrofio vecchia maniera.
 L’amico alla guida senza voltarsi:
 - Ma va là, scemo!... Sono bolognesi, e alla sua amica ha detto: “ Lui qui comincia a stringere”.
 Tutti e tre scoppiarono a ridere, mentre io, da mona (2), mi ritirai come una lumaca senza proferir parola. Chiuso in me stesso e con il morale a terra non avevo la forza di reagire. Ero nero per non aver avuto la solidarietà di quel mio compagno stagionale. In macchina, questi tre menefreghisti cantavano a squarciagola accompagnandosi alle canzoni trasmesse dalla radio. Non mi era mai capitato d'essere così giù di corda. Non solo non avevo risposto al mio compagno, ma anche davanti alla ragazza m'ero arreso. Di solito, a un rifiuto reagivo anche aggressivamente con parole pronte. 
 All’ingresso della sala da ballo, le ragazze invece di lasciarci, presero sottobraccio il mio amico e s’accomodarono a un tavolino. Infelice e disperata situazione! Veramente insopportabile. Per non dar sfogo a ciò che avevo sulla punta della lingua, giravo a vuoto attorno alla pista sperando che qualche anima buona mi raccogliesse. Mi rifiutavo di portare il moccolo per tutta la serata.
 Durante la sosta della musica fui costretto però a raggiungerli. Per forza: m'aspettava la mia birra.
 Me ne stavo muto, discosto da loro, e cercavo di vedere se in sala ci fosse qualche ragazza libera, fosse pure brutta come la fame. Cercavo di distrarmi pensando alle tre leggi della Dinamica del grande Isacco. Le ripassavo in Latino, come del resto le aveva formulate; visto poi che questa nostra antica lingua era la causa delle mie pene. La terza, che si riferiva all'azione, mi suggeriva di reagire. Ormai era troppo tardi. Certe cose o si fanno subito o è meglio lasciarle perdere. Non mi restava altro che masticar rabbia.
 Ma come la musica riprese, la ragazza dai bei cosciotti mi s'avvicinò, e in tono dolce e amichevole:
 - Dai! Non te la prendere, sei anche un bravo ragazzo …  Sù, andiamo a ballare!
 Una brezza notturna e la musica invogliavano all'amplesso, si ballava a guancia a guancia. E poi dicono di non aspettarsi mai che l'iniziativa possa partire dall'altro! Sentite la sorpresa.
 - Non ti piaccio più perché non parlo il Latino?
 E prima che potessi rispondere, con un bacio mi sfiorò le labbra. 
 Che vacanze! Quelle sì, che furono vacanze!


 (1)   Lui qui comincia a stringere.
 (2)   Vagina. In questo caso stupido.


 

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