venerdì 23 gennaio 2015

SALVATO IN CALCIO D'ANGOLO


 
 Dopo un paio d'anni dalla morte di mio padre, si vendette il negozio di tabaccheria. Mio fratello e mamma s'impegnarono a condurre il negozio d'ottica, mentre io, nonostante avessi superato solo il biennio d'ingegneria, ottenni la cattedra completa d'insegnante in Matematica e Fisica presso l'Istituto Tecnico per Ragionieri e Geometri  della mia città.
 Possedevo una 500 e un Moby: un ciclomotore francese leggermente più piccolo del nostro Ciao che faceva sbavare le ragazze e i ragazzi di quel periodo. Godevo dello stipendio, delle mance di mia madre e, pur non essendo una meraviglia, dell’ammirazione e della simpatia di qualche bella fanciulla. L’unico cruccio erano un paio di classi femminili dell’Istituto di Ragioneria. Oh, ma non mettiamola giù troppo dura! C’era anche da divertirsi, con le mani a posto, s’intende. 
 Vi ricordo che per insegnanti, tutori e chi può esercitare una qualche influenza sulle minori, la legge maggiora di due anni l’età di questa area protetta. Non che fossi preoccupato per questo. Dovevo  star piuttosto attento a che non mi sfuggissero parole fuori luogo e a difendermi dalle malizie delle mie giovani allieve. Alcune erano ancora bambine, la maggior parte, uscite dalla pubertà, erano già donne fatte, e quindi più difficili da gestire.
 Problemi mestruali, innamoramenti quotidiani, vestiti alla moda e fanatismo per i Beatles erano gli argomenti preferiti. Fin qui nulla di male. Più grave era il fatto che alcune non volessero indossare il grembiule bianco da portare in classe: imbruttiva. E allora dovevo spiegare che il grembiule non serviva tanto a loro, quanto a me, per proteggermi da scollature e curve pericolose. E non vi dico quante volte buttavo gli occhi al soffitto per non indugiare su meravigliosi panorami inviolati che venivano dai primi banchi. Lo san bene le donne che sedute le gonne si accorciano, come pure lo sapevano le ragazzine, soprattutto a quei tempi quando non s'usavano ancora i jeans.
 Se non ne capitava una al giorno poco ci mancava. Ogni scusa era buona. Si rideva spesso, ma dovevo far attenzione a pesare bene ogni parola. La malizia era sempre alla porta. Pensate un po' che un giorno a una piccolina che faticava ad arrivare alla lavagna posta dietro alla cattedra, tra le risate venne dai banchi l'invito:
 - Ma dai, non far tanto la smorfiosa! Fatti prendere in braccio dal professore!
 L'episodio però che vi voglio raccontare si riferisce a un mio folgorante ripensamento e a una altrettanto fortunata e precipitosa marcia indietro.
 Un bel mattino, mentre tenevo una lezione di Matematica nella seconda classe di Ragioneria, non m'accorsi dell'ora tarda. Stava per scoccare la fine delle lezioni. Purtroppo non mi resi conto della stanchezza e svogliatezza delle mie allieve. Forse loro s'aspettavano già il suono della campanella, mentre io ero impegnato a finire in fretta un esercizio alla lavagna. Dopo aver scritto un paio di righe, mi voltai per vedere se la classe mi seguiva. Scorsi che l’allieva nel terzo banco della fila di mezzo stava giocando con i capelli di quella davanti. Cercava di arricciarli con una matita. Ritornai a scrivere, ma voltandomi  di nuovo la trovai che si divertiva ancora. I nostri occhi s’incrociarono, con un gesto e con una smorfia le feci intendere di smettere e di prestare più attenzione.
 Alla terza volta m’infiammai e la rabbia mi fece perdere i lumi. Spezzai il gesso e a vene ingrossate:
 - Senti, ricciolina! La pianti di fare dei boccoli a quell’oca che hai davanti?... Eppure con un brutta occhiata ti avevo già colta sul fatto. – e gonfiando ancor più le gote e scandendo bene  le parole – Hai una pallida idea dove ti posso ficcare quella maledetta matita?
 Ottenni un silenzio che non avevo mai avuto. E davanti a occhi sgranati: 
 - Te la ficco nel … nel naso! - pronunciando quell'ultima parola come fosse la fine d'un rantolo.
 Ancora un attimo di sorpresa e, subito dopo, dall’ultimo banco venne il primo applauso.

 

 

martedì 20 gennaio 2015

AVEVO BUCATO UNA GOMMA


  A volte, capita d’inciampare in qualche spiacevole malinteso oppure di commettere delle gaffe talmente grossolane che non è possibile far marcia indietro. A quelli come me e che per lavoro sono costretti a darla d’intendere al pubblico succede purtroppo con una certa frequenza.
 Ma non voglio annoiarvi con le tristi figuracce che ho fatto in negozio o con amici, preferisco ricordare vecchi episodi della mia gioventù, prima che finiscano nel dimenticatoio. 
 Questa è un a delle mie celebri gaffe: una di quelle spaventose, e che non si dimenticano tanto in fretta.
 In una piccola città di sessantamila abitanti, le feste danzanti promosse da associazioni benefiche o da circoli privati si contano sulle punte delle dita. Avrei fatto carte false per poter partecipare a quella festa.
 Sì, che avevo delle amiche! Ma non avevano alcun interesse per uno come me, come del resto io non ne avevo per loro. Se avessero scelto un accompagnatore l’avrebbero cercato un po’ più figo del sottoscritto. Più che per vanto, per far invidia alle avversarie. Mi procurarono l’invito un mio amico e la sua ragazza.
 Il vecchio abito di società di mio padre, adattato a me, mi permetteva di partecipare a quell'evento. Feci disperare mia madre: comprai un paio di scarpe nuove, una cravatta e dei polsini. Andai perfino dal barbiere. Certo che c'era un motivo per tenerci così tanto: speravo di poter incontrare una ragazza che mi piaceva da morire.
 Arrivò finalmente il sospirato momento. Tirato a malta fina e tremante affrontai l’ingresso in sala.
Che aria brutta! c'erano tutti i cagoni della città.
 Nonostante conoscessi un po’ tutti quanti, la maggior parte m’ignorò; solo alcuni genitori di qualche amico e un paio di clienti dei nostri negozi mi sorrisero o mi strinsero la mano. Non per cortesia o simpatia, ma perché conoscevano le proprietà della famiglia. Per una volta ancora, quella merda di denaro era motivo di divisione tra gli uomini.
 Cercai la ragazza, ma non la trovai. Ero arrivato un po' troppo presto. Dopo qualche giro nelle due sale, m’incontrai con una ventenne che lasciava la pista alla fine d’un ballo. L’invitai e lei accettò. Non mi sembrava vero che a un ballo di società mi stavo conquistando una bella biondina di provincia.
 Dopo quattro balli di fila, chiacchierando ci recammo al buffet. Si parlava di Milano e della Facoltà di Filosofia dove lei era iscritta al secondo anno.
 Capelli a caschetto, fronte spaziosa, occhi verdi-azzurri, labbra sottili, un bel sorriso, seni piccoli e gambe diritte. Con una voce limpida e penetrante, mi spiegava la sua passione per il cinema. La lasciavo parlare, pensando a come affrontarla e al tempo che avrei impiegato a saltarle addosso. Eh, sì! lei aveva ballato con me senza mettere le mani aperte davanti ai seni a mo’ di protezione come s’usava allora; anzi, se li era strofinati. Ballando poi a guancia a guancia, non mi era sfuggita qualche piacevole stretta.
 Mentre ero in sosta al buffet, qualche amico, passandomi accanto, come saluto mi faceva l’occhiolino come per dirmi: “ T’è andata bene, eh?”
 Oltre agli amici, fui vittima delle attenzioni d'una signora un po’ vistosa, bardata a festa, con un sparato sul davanti e un fondo schiena da far venire l’acquolina in bocca a chi piace l’abbondanza. Non solo sguardi, ma mi lanciava anche qualche sorriso.
 Maledetta vanità! Sarebbe stato meglio morsicarla la lingua.
 Rivolgendomi alla mia futura preda:
  - Vedi quella vecchia baldracca?(1) Mi lancia inviti con dei sorrisi e delle occhiate concupiscenti, lei vorrebbe che …
  - Ma cosa stai dicendo? Quella signora è mia madre … Ma cosa ti sei messo in testa? Sorride perché si compiace che anch’io ho qualcuno che mi corteggia.
 Che tonfo! A terra, per aver bucato una gomma, senza la possibilità di rialzarmi. 
 

    (1) Prostituta.



sabato 10 gennaio 2015

SONO LE PEGGIORI


                                                                                             Maschi d’una certa età, sù con le ’rece! (1)

  Se le giovanili femmine, dai sessant’anni in su, vi fanno delle avances, non prendetele troppo sul serio.
 Sono delle mistificatrici, addirittura delle bugiarde nate, che lo fanno esclusivamente per vanità. Vogliono sapere se sono ancora attraenti più che voglia di far sesso. Ma se vi capita qualcuna che fa sul serio, mi raccomando: non perdonategliela! Rammentatevi il vecchio detto dei vostri padri : “ Ogni lasciata è persa”.
 Per avvalorare questa mia tesi, mi permisi un giorno d’invitare a bere un caffè una mia cliente che si vanta  d’essere, e purtroppo lo è di professione, una psicologa. L’avevo invitata non tanto per sperimentare su di lei il mio irresistibile fascino, ma perché volevo conoscere in modo diretto e più specifico la sua opinione su questo modo di comportarsi di alcune non più giovani signore nei nostri confronti.
 Sul metro e sessanta, segalina, con poco seno e sempre in calzoni, porta capelli lunghi raccolti in varie fogge e, sebbene si  atteggi a ragazzina, ha purtroppo un collo impietoso che ne rivela l’età. Nei miei confronti ha sempre  avuto atteggiamenti di stima esagerata, per non dire di sfacciata adulazione. Vi riporto esattamente le sue parole:
 - Oh, dottore! Come la trovo bene … - oppure – Lei che è un poeta … - a volte anche – Già, dimenticavo che lei è un intellettuale e al tempo stesso un uomo di scienza … - e tante menate del genere di cui provo ancora vergogna.
 Come vi ho già detto, un bel giorno commisi l’errore di chiamarla al citofono e invitarla a prendere un caffè.
 - Oh, dottore! Mi coglie in un momento che sono molto impegnata, in ogni caso, tra qualche minuto sarò da lei.
 Abitando in un palazzo che s’affaccia su Piazza Delle Erbe, ci recammo in uno dei tanti bar che danno vita alla piazza. Durante il breve tragitto, mi raccontò d’aver lasciato a casa il marito, quando di marito non ne avevo mai sentito parlare, e che lei, nonostante  la sua età, riceveva ancora inviti e complimenti dagli uomini.
 Seduti a un tavolino, cominciò a imbambolarmi con le sue chiacchiere. Iniziò a raccontarmi che faceva di frequente sesso sfrenato, che frequentava piscine e palestre, e che, oltre a essere innamorata del suo lavoro, aveva una gran passione per le gare di Tango. Era più matta di quanto la facessi. E poi forse... e senza tanti forse, lei credeva che ci provassi.
 Che fare? Mica potevo dirle che l’avevo invitata per ricevere un parere professionale senza tirar fuori il becco d’un quattrino. L’avrei umiliata sia come professionista che come donna. E che smacco poi dirle che non aveva capito un bel niente e che non intendevo farle la corte! Non mi rimaneva altra via che starmene zitto, fingendo  che lei credesse che m’era andata buca. Rammentai che non si deve mai dare dello stupido a qualcuno. Lo stupido non ammetterà mai d’essere uno sciocco, penserà che siete voi lo stupido.
 Con tutta la voglia che avevo di venir via, cercavo di non ascoltarla e di non piegar troppo la testa. Ero poi impegnato a squadrarla per capirne che doti avesse per sentirsi ancora così attraente. Con il culo piatto da sedentaria, senza tette, senza trucco e con un color di pelle da legume simile al “pomme de terre”, cosa poteva aver di stuzzicante oltre a quei quattro peli? Eppure, forse anche lei aveva qualcuno che se la sarebbe fatta.
 Per scacciare la voglia di risponderle a tono, pensavo a tutte le donne vedove che raccontano che sono disperate avendo avuto un uomo meraviglioso, alle separate che sparlano del vecchio marito giurando d'essere state vittime d’un delinquente. E purtroppo son tutte così. Non se ne sbaglia una!
 Dicono che il tempo oltre a essere galantuomo è anche relativo, sarà, ma a volte non passa mai. Con il cervello in ebollizione, alle vedove e alle separate associavo questa razza ancor più perversa, che ci stuzzica e poi non si concede. Che brutta razza! Le loro allusioni, le loro smorfie e le loro moine hanno uno scopo solo: quello di trarci in inganno. Posano e recitano come le migliori attrici. False, bugiarde, imbroglione, ipocrite e poi e poi ... Non dimenticate che giocherellano sui qui pro quo, e che ci incantano con il bagliore e il languore dei loro occhi. E per infinocchiarci meglio, si lasciano andare a confidenze di questo tipo. 
  - Sei più d'un amico! - oppure - Abbiamo molto in comune noi due.
 Vittima delle loro arti e per golosità, l'uomo ci casca e si fa avanti, e loro gli tappano la bocca con un secco rifiuto, spesso umiliandolo. Brutte schifose! Per non dir qualcosa di peggio.
 Per pagare il conto, il cameriere non arrivava mai. Finalmente! ci lasciammo promettendo che ci saremmo rivisti (e non so neanche il perché) in altre occasioni e senza tanta fretta.
 Qualche volta la rivedo, e v'assicuro che non è facile mandar giù veleno e non poterlo sputare!

 

  1. Orecchie.