martedì 27 ottobre 2015

LA RIVA DEI BRUTI


  Me ne stavo a pranzo con i miei familiari in Piazza Dei Signori, seduto al Caffè Dante, quando venni distratto dalla gente ch’era in piazza.
 Constatai che non atterrava più nessun piccione. Non c’è più spazio per loro. Oltre ai tavoli della pizzeria, della gelateria e dei due ristoranti che occupano la bellezza di quasi metà piazza, attorno alla statua severa del nostro Dante, si davano il cambio a tutte le ore gruppi di turisti che, in tutte le lingue, ascoltavano le loro guide. E a quest'ora, il resto della piazza di fronte alla Loggia di Fra' Giocondo è sempre affollata da genitori e nonni che tengono d'occhio figli e nipoti. Delle piccole pesti che, con il vento in poppa, corrono e giocano in piena libertà. Giocano perfino al pallone. 
 Figuriamoci se mia madre o mio padre, appena finita la guerra, avrebbero giocato con me al pallone! E non ero il solo! Non ce n’erano di papà che giocavano con i propri figli. 
 A Cremona, dopo il Quarantacinque e fino ai primi anni Cinquanta, noi ragazzini andavamo a giocare con palle di stracci (rare e preziose erano quelle di gomma) sui sagrati, nelle piazze, nei vicoli, nei viali.  Bastava che ci fosse un po' di slargo per segnare una porta. Traffico automobilistico non ce n’era, e un solo semaforo lo regolava: quello che ancor oggi si trova a fianco della Galleria. Solo tre erano i vigili urbani, di cui due in bicicletta. E quest'ultimi venivano a rompere a noi ragazzini. Ci sequestravano le palle cercando di appiopparci delle multe. Un vero tormento! 
 Sapendo che l’oratorio di San Luca apriva a certi orari e che nell’attesa si giocava sul sagrato, arrivavano all’improvviso come falchi. Frequentavano i miei paraggi anche per un altro motivo: volevano pizzicare un mio amico che con il tirasassi andava in Piazza Duomo per procurare qualche piccione per la famiglia.
 Quando non si avevano palle, s’andava sulle macerie di Porta Milano a giocare ai Saraceni contro i Crociati. Battaglie che finivano sempre in liti: colpa delle bastonate che si prendevano sulle mani. Colpa mia, colpa tua!... era sempre colpa di qualcuno.
 Essendo il figlio del tabaccaio sull’angolo di Via Volturno, quei due ladri di palle mi conoscevano bene. Una volta, non era come capita al giorno d’oggi nelle scuole e sui campi di gioco, dove i genitori assalgono insegnanti, arbitri e allenatori; allora, quando le si prendevano, il resto lo si prendeva a casa, e non erano affatto carezze.
 Quei due invertebrati, oltre a consegnare a mano qualche lettera del Comune, ci tormentavano perché non c’era altro da fare. Ci davano la caccia non solo sui sagrati, sulle piazze e nei vicoletti, ma anche sulla spiagge del Po.
 Sui dodici anni e nel periodo estivo, s’andava a fare il bagno nel Po nei pressi delle vecchie Colonie Padane. In quel posto isolato, lontano da sguardi indiscreti e dove non passava mai nessuno, spuntava in riva al fiume un sabbione alto oltre il metro e dove sotto scorreva la corrente. Era il posto ideale per tuffarci essendo in curva, dove l’acqua, lambendo la sponda, era profonda a sufficienza. Veniva  chiamato da noi ragazzi la Riva dei Bruti. E fin lì arrivarono un giorno quei due sbirri.
 Il più odioso era quello con i baffi, a cui un giorno sgonfiai le gomme della bici. L’aveva appoggiata vicino al nostro negozio di tabaccheria ed era entrato dal macellaio accanto. L'angelo della vendetta mi suggerì di agire. Feci in un attimo. Per paura che venisse poi a cercarmi in tabaccheria, attraversai la via e andai a nascondermi a fianco del sagrato sull’angolo del negozio di Poli il cestaio, da dove potevo sbirciare senza essere visto. Gioii, vedendone la sorpresa e la rabbia. Per paura che mi cercasse anche per strada, mi precipitai in chiesa. M’inginocchiai sull’ultimo banco quando mi vide padre Erba che era appena uscito da un confessionale. Mi prese alle spalle, e con garbo:
 - Sei venuto per nasconderti da qualche marachella? 
 - No, no! Son qui solo per una preghiera.
 - Ah, non s’arriva in chiesa con il fiatone per una visita! – e scuotendo il capo se ne andò.
 Su tutti i Cristo della Via Crucis cadde un'ombra di rossore.
 Ritorniamo a quel pomeriggio di luglio. Eravamo solo in cinque. Dopo aver fatto tuffi e sguazzato in acqua, nudi come vermi ci crogiolavamo beatamente al sole. Mica si aveva il costume da bagno, ed era per quello che il posto era chiamato da noi la Riva dei Bruti. Confortati da una leggera brezza, a occhi chiusi ci si godeva un attimo di pace quando quei due ladri di palle arrivarono a passi felpati alle nostre spalle. Si misero davanti agli arbusti che fiancheggiavano la stradina di campagna, dove noi avevamo appoggiato le bici e appeso gli abiti, mutande comprese.
 Il trillo d’un fischietto ci fece sobbalzare. Si dava scandalo. Ma a chi, se non a loro due?
 Chiamatelo pudore, imbarazzo, oppure timore di apparire ridicoli davanti agli adulti, ma quel che mi fa ancora sorridere è che tutti noi ci coprimmo con le mani il pistolino. (1) E non era ancora passato lo spavento che quello dei baffi con sarcasmo cominciò a farci la predica, mentre l’altro segnava su un libretto i nostri nomi. Sorpreso di non conoscere un nostro amico: 
 - Senti biondino, non ti ho mai visto prima!... Dimmi come ti chiami!
 - E perché vuol sapere il mio nome?
 - Per compilare il verbale.
 Dopo aver scambiato con noi sguardi d’intesa:
 - Mi chiamo Nessuno e abito a Itaca.
 Dopo qualche attimo di sorpresa: - Senti novello Ulisse, non far tanto il furbetto: non ho voglia di scherzare … Dammi il nome!
 - Lo ripeto: il mio nome è Nessuno!
 Il vigile appoggiò la bicicletta a terra  e stava facendo il primo passo verso di lui quando il ragazzo scattò in cima al sabbione e gridando:
 - Li ho visti di là dal fiume. 
 E mostrando le chiappe, prima di tuffarsi, di nuovo gridò:
 - Invece del nome, segnati la targa! 
 Beh, cos’è che avete da obiettare?... No, no! Era un caro amico che abitava al di là del fiume: un gran bravo ragazzo, per essere un piacentino. 

 

  1. Piccolo pene.

 

 

 

 

sabato 24 ottobre 2015

UNO SGUARDO DAL BUCO


  Negli anni Settanta, contrassi amicizia con la proprietaria d’una famosa boutique che, con i primi freddi, organizzava ogni anno una sfilata di moda per proporre alla sua ricca clientela i nuovi modelli.
 Quella volta, pensando di poter fare un po’di pubblicità e dar prestigio al mio negozio, proposi di abbinare ai suoi abiti anche i miei occhiali. L’idea piacque e fu accolta.
 Una ditta emergente del Cadore m’inviò gratuitamente il suo campionario. A me restava il solo compito di far indossare alle modelle gli occhiali da sole o da vista che più s’intonavano al loro aspetto e ai modelli della sfilata.
 L'evento si sarebbe svolto in un teatro cittadino. Per l’occasione, era stata approntata una pedana che dal palco percorreva per il lungo quasi tutta la platea. Dietro al palco poi, avevano ricavato uno spazio dove le modelle potevano spogliarsi e cambiarsi. Come divisorio era stata messa una parete di compensato o di cartongesso. Ricordo perfettamente che nelle parete erano stati fatti due fori in modo da coprire tutta l'area da tener sotto controllo. Erano poi stati coperti da quadratini di schotch opaco che si confondevano bene con la parete. Li aveva fatti Carletto, una birba diciottenne alle dipendenze della boutique. 
 Spostare due grosse valige dal negozio al teatro e riportarle non era facile. Chiesi aiuto al mio amico Toni, con la promessa che avrebbe visto delle gran belle gnocche.(1) Sì, sì! è sempre lo stesso Toni Gussa! E chi altro m’avrebbe aiutato a portar pesi di quel genere?
 Quel  venerdì sera dopo le diciotto e trenta, arrivammo di corsa in teatro dove erano già cominciate le prove generali. Pagai subito il mio tributo indicando a Toni l’esistenza dei fori sotto al nastro adesivo. Con il braccio destro indolenzito, faticai notevolmente a scegliere gli occhiali adatti e rispettare i tempi d'entrata delle modelle in pedana.
 Durante la prima pausa, lo trovai che non fiatava incollato alla parete dove sberluciava. Venne da me Carletto lamentandosi perché il mio aiutante gli aveva rubato il posto d’osservazione. Gli risposi che sarebbe piaciuto anche a me darci un'occhiata. Per risolvere la situazione, e invidioso quanto basta, gli suggerii:
 - Facciamogli uno scherzetto! Ti prendi uno scatolone vuoto e, passandogli accanto, fai finta d’inciampare e lo urti contro la parete. Vedrai che si staccherà.
Quella del voyeur, si sa, è una malattia; mentre per il mio Toni quel curiosare era solo un piacevole passatempo. 
 Erano passati pochi minuti ed ero intento a sistemare alcuni occhiali nelle couvettes quando sobbalzai spaventato da un botto terribile e da urla di terrore. La parete che faceva da divisorio era crollata. Sotto a questa, tra fumi di polvere, scorsi una sarta e una modella; sopra le macerie, il mio Toni a gambe all’aria. Le ragazze  terrorizzate si coprivano le parti intime. Passato lo spavento iniziale, grande scoppio d’ilarità. Se ci fosse stato a terra uno sconosciuto, ne avrei sofferto, ma vedendo il mio amico faticai a trattenere le risate. Fortuna volle che la parete si fosse spezzata in due e non fosse finita sul pavimento ma, andando a sbattere contro un tavolo massiccio, aveva salvato dalla compressione le due povere donne.
 In preda a una crisi di nervi e tremando, la modella dava sfogo al panico con risate stizzose e attacchi isterici di pianto; mentre la sarta, lamentandosi per la botta, si massaggiava la testa e la spalla. Le  altre modelle, senza preoccuparsi di quelle due malcapitate, vedendo l’uomo a terra non finivano più dal ridere. L'espressione del mio Toni era uno spasso: smarrito per lo spavento e affranto dalla vergogna. Sentendosi poi tutti gli sguardi addosso, nel rialzarsi era ancor più impacciato. In piedi, si spolverava la giacca e riassettava i capelli prendendosela con Carletto. Questi per difendersi:
 - Caro signore, non dovevo trovarla tra i piedi. Coperto dallo scatolone non potevo vederla. È tutta colpa sua! Lo sa? Se lei non si fosse trovato lì a guardare dentro ai due fori della parete, questo  disastro non sarebbe mai successo.
 Presente al battibecco c’era pure la titolare della boutique, arrivata di corsa dalla platea. Dopo quella chiara confessione, contro il mio Toni, accompagnati da sguardi cattivi, fiorirono i primi sorrisi di sprezzo. Dopo lo spavento, a poco a poco le modelle si resero conto d’essere seminude.
Dovetti giustificare la presenza dell'amico come mio aiutante per il trasporto delle valige, mentre lui balbettava delle scuse per quel che aveva combinato. E, come offeso, senza salutare voltò i tacchi e se ne andò.
 Perso il mio prezioso aiutante, dovetti chiamare un taxi, e mi avvalsi dello stesso per la sfilata del giorno dopo. L’evento non ebbe nulla di nuovo né di bello da raccontare. Tutti i discorsi e le risate furono riservati ai ricordi del giorno prima. Ne saltarono fuori di tutti i colori. Ci fu perfino chi raccontò che un guardone s’era intrufolato nel teatro e aveva combinato quel popò di guaio.
 Ah, dimenticavo! Come l'ho messa con Toni? Con gli amici, si sa, basta una pacca sulle spalle: vale più d'una qualunque parola.  

 
    (1)   Donne.

 

venerdì 9 ottobre 2015

REGOLO




   
  Che simpatici i personaggi d'una volta! Ora di questa gente ce n'è sempre meno. Un vero peccato!
 Al giorno d'oggi, l'uomo mostra solo il suo aspetto triste: preso dalla vanità di ostentare, dalla fame di soldi e di successo, più che dalla voglia di vivere. Colpa della globalizzazione? Mah! È cambiato un po’ tutto quanto ... nei rapporti, nelle abitudini, nei valori, e in tutto quel che ci sta dietro.  Non so proprio come spiegarlo e cosa dire!
 Tra i personaggi singolari che animavano il centro di Verona dagli anni Ottanta in poi, in vetta alle classifiche si trovava un certo Regolo, soprannominato Barone per via di un De prima del cognome che ne nobilitava falsamente l’origine.
 Frequentatore della Bottega Del Vino e dei bar di Piazza Delle Erbe, questo falso barone aveva come nemico dichiarato un altro personaggio famoso: Cavra. Questi due si confezionavano alle spalle certi abiti da far invidia ai nostri migliori firmaioli.  
 Per alcuni, il nomignolo lo si doveva al fatto che non si lavasse; mentre lui, per giustificarsi, si gloriava d’aver avuto rapporti di lavoro con il famoso regista americano Frank Capra. Che vantasse conoscenze tra grandi registi e attori era pur vero, anche se esagerava sull’amicizia con Luchino Visconti, avendo collaborato con lui giù in Sicilia alle riprese del Gattopardo.
 Entrambi avevano un numeroso seguito di ascoltatori e ammiratori a cui non disdegnavano di scroccar bicchieri. Il pubblico del Cavra annoverava, in gran parte, pseudo artisti e pseudo intellettuali, mentre Barone si accontentava di gente più comune, anche se, bisogna dirlo, oltre a quella dei bar, frequentava anche un’altra compagnia. Quest’ultima  composta da nobili e ricconi sfaccendati che se lo tiravano dietro come un amicone perditempo, oltre che come scaltro giocatore di bridge.
  Feci la loro conoscenza quando ormai erano entrambi in età matura e vivevano di pensione. Ambedue scapoli: Cavra viveva solo, Regolo con la sorella che lavorava in Piazza delle Erbe. Mentre Cavra piangeva miseria per l’abbondanza della sua pensione, Regolo attingeva dalla borsetta della sorella. Dopo aver vissuto di lamentele e stenti, Cavra alla fine dei suoi giorni ricevette una grossa eredità che, purtroppo, da sfigato qual era, non ebbe tempo per godersela. Regolo, invece, si vantava d’aver ricevuto la pensione dopo aver lavorato solo due anni e mezzo. Roba da non credere! E come avesse fatto a ottenerla, è sempre stato un gran mistero.
 Secondo una voce messa in giro dal Cavra, si diceva che, quando Regolo doveva sostare in qualche albergo, telefonasse prima di arrivare chiedendo di sé, spacciandosi per il notaio Sperpero o per il dottor Manca e quant'altri. Si godeva da morire all'arrivo sentirsi dire: - Oh, finalmente! ben arrivato Barone  De ... c' è stato un sacco di gente che l'hanno cercata.
 Dal viso scarno, tristo, dai capelli rossicci e mossi, Cavra portava foulard al collo e fazzoletti nel taschino di giacche di poco conto o prese in liquidazione, atteggiandosi sovente ad artista e a viveur. Regolo, moro e dal viso tondo e sorridente, con l'espressione di chi se ne sbatte di tutto e di tutti, lo si vedeva spesso anch'egli con foulard e giacche blu, slacciate però, per via della pancia. Inutile dirvi che per convalidare la sua nobiltà i bottoni di tutte le sua giacche erano rigorosamente dorati.
 Mentre Cavra se ne andò per via del solito brutto male, per Regolo fu colpa del fegato che non resse al ritmo dei suoi brindisi.
 Il nostro Barone era famoso presso gli amici, oltre che per le sbronze e le frottole, anche per i suoi strafalcioni. Confondeva il colesterolo con il polistirolo, i collant con i dépliant, e in casa sua regnava sempre la lussuria invece del lusso. E di queste cantonate ne aveva in abbondanza.
  Celebre fu l’intervento d’un nostro amico mentre raccontava le sue avventure amorose. Una di quelle frecciate che rimangono epiche e che si raccontano ancora oggi come fossero barzellette. Non c’è affatto da stupirsi  perché certe stilettate alcuni se le vanno a cercare! E poi.. e poi i galletti vanno sedati quando cantano troppo.
  Quel giorno, alla Bottega Del Vino, attorniato da un notevole gruppo di ascoltatori raccontava che nel tal castello, nella immensa tenuta, nel grandioso palazzo, su letti splendidi e grandi come delle piazze d’armi, s’era fatto una marchesa, una contessa oppure una giovane attricetta. Tra questi ascoltatori, quel furbetto del nostro amico, dopo averne sentite quattro o cinque di queste sue magnifiche avventure, non sopportandolo oltre:
 -Senti, Regolo! Ma ti, non gheto mai ciava’ qualche bela serveta in un canton d’un condominio? (1)




     (1) Ma tu, non hai mai fornicato con qualche bella servetta in un angolo d’un condominio?