Eravamo nel Sessantasette, un paio di giorni prima di ferragosto mio fratello mi lasciò a terra, e con una bella creola prese il volo per Parigi e Madrid.
La partenza improvvisa e la notizia comunicata solo a pochi intimi costrinsero la maggior parte degli amici di mio fratello ad arrivare in bottega per tutto il 21 agosto: giorno d’apertura del negozio dopo una settimana di sosta per le ferie estive. Fu un vero via vai. Entravano di corsa e, con faccia tosta,
chiedevano a voce alta a
mia madre:
- È vero che Vito è fuggito?- i più delicati.
- Ma
è vero, signora Monti, che Vito è fuggito con una negra? - i più tremendi.
E senza attendere risposte, ma solo dopo averne visto le sue occhiate, se ne uscivano
ancor più veloci.
Povera mamma, quanto ci soffrì! E quante ne disse a riguardo della ragazza è
meglio lasciarvelo immaginare. Forse ne disse ancor di più sul conto di mio
fratello per avermi lasciato a secco di denaro e illuso di
trascorrere, assieme e per la prima volta, le vacanza estive. Lacrime di rabbia e di dolore che non furono così tante
rispetto a quelle versate quando Vito andò a sposarsi a Panama.
Partito a
fine di luglio, sarebbe ritornato a metà settembre. A mamma e a me l’impegno di
tenere aperto il negozio. Non potevamo volare
fin laggiù, non solo a causa della bottega, ma anche perché il prezzo
dell’aereo a quei tempi era piuttosto salato. In casa, si rimpiangeva il disagio
di averci lasciato in mano il negozio dove lui era più competente.
A mamma, sentimentale e romantica, piacevano tanto i soldi, e il suo sogno più grande era di farci sposare una donna ricca e non una che veniva da oltre Oceano e di cui non si sapeva poco o nulla. Non aveva tutti i torti. In fin dei conti, aveva due gran bravi ragazzi, laureati e con qualche soldino alle spalle, poteva quindi vantar qualche pretesa. Sfumato questo sogno, le rimanevano solo le lacrime per le possibili chiacchiere della gente. A scottare maggiormente sarebbero state quelle dei vicini di casa, dei clienti, perfino di quelli che non ci conoscevano affatto e che, pur di parlare, avrebbero detto un sacco di cattiverie. Si sa che la bontà ha una sola sfaccettatura mentre la cattiveria ne ha mille. E a queste fisime mia madre ci girava attorno e ogni mezzora ne aveva una nuova per potersi affliggere. Ma per quanto elucubrasse non si sarebbe mai aspettata quel che arrivò alla fine d’agosto.
A mamma, sentimentale e romantica, piacevano tanto i soldi, e il suo sogno più grande era di farci sposare una donna ricca e non una che veniva da oltre Oceano e di cui non si sapeva poco o nulla. Non aveva tutti i torti. In fin dei conti, aveva due gran bravi ragazzi, laureati e con qualche soldino alle spalle, poteva quindi vantar qualche pretesa. Sfumato questo sogno, le rimanevano solo le lacrime per le possibili chiacchiere della gente. A scottare maggiormente sarebbero state quelle dei vicini di casa, dei clienti, perfino di quelli che non ci conoscevano affatto e che, pur di parlare, avrebbero detto un sacco di cattiverie. Si sa che la bontà ha una sola sfaccettatura mentre la cattiveria ne ha mille. E a queste fisime mia madre ci girava attorno e ogni mezzora ne aveva una nuova per potersi affliggere. Ma per quanto elucubrasse non si sarebbe mai aspettata quel che arrivò alla fine d’agosto.
Accadde che Vito e Itza, oltre alle
telefonate e a qualche lettera, spedissero in negozio una cartolina di saluti.
Era una vecchia fotografia: un
dagherrotipo che ritraeva una capanna con davanti una numerosa famiglia di Indios.
Il
nostro postino, che sapeva di mio fratello, forse senza cattiveria
ma solo per fare dello spirito, entrando in negozio con il sorriso e lasciando
sul banco la cartolina:
- Siora Monti, i ghà mandà la futugrafia dei parent!(1)
Ci voleva anche questa.
- Siora Monti, i ghà mandà la futugrafia dei parent!(1)
Ci voleva anche questa.
Per un paio di settimane e forse
più, all’ora di pranzo, invece di trovar pronto da mangiare, ero costretto a cucinarmi un
paio d’uova, a cibarmi di tonno e cipolline, oppure a comprarmi
dei panini con salame e formaggio. Non tutte le sere poi potevo andare a rifarmi in trattorie. Per non
lasciarla sola, per consolarla e invogliarla a mangiar qualcosa, imparai a preparare
dei risotti e a cucinare delle scaloppine.
Mamma non riusciva a darsi pace. Quel maledetto postino chissà quante ne avrebbe raccontate in giro. E lei ne immaginava e ne rimuginava di tutti
i colori.
Senza
ottener grandi risultati, la portai dal medico che le ordinò dei calmanti e dei
ricostituenti. Si riprendeva solo un po’ quando di domenica, dopo aver fatto assieme
una visita al cimitero, la depositavo da sua sorella Cleofe, in modo che si
distraesse e che non pensasse al negozio, agli sposi e su ciò che la gente
avrebbe malignato. Non avevo altro rimedio.
Un giorno, fra tutte quelle
sue lacrime riuscì a strapparmi perfino un sorriso. Troppo bella questa
sua uscita per non doverla raccontare!
Mentre sparecchiava la tavola,
la sentii borbottare:
- Non ghé più religion! … Anca el pusten el me tol per
el cul! (2)
(1) Signora Monti, le hanno spedito la fotografia dei parenti.
(2) Non c’è più
religione! … Anche il postino mi prende per il culo!
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