Ah, non ci sono più le donne di servizio d'una volta!
O la nostra famiglia è stata sfortunata oppure quelle del giorno d'oggi, secondo mia moglie, se non sono controllate a vista, oltre a far poco o nulla, rubano.
E' inutile ora far un triste elenco degli oggetti e dei soldi che sono mancati. D'altronde, abitavamo in un appartamento grande, con tre figli che andavano a scuola, mentre io e mia moglie eravamo impegnati nei rispettivi negozi, quindi non potevamo seguirle o far da guardia. Tuttavia, lasciatemi raccontare ciò che ha rubato l’ultima donna che abbiamo avuto. Non saprei se c'è da ridere o da piangere. Ditemelo voi!
O la nostra famiglia è stata sfortunata oppure quelle del giorno d'oggi, secondo mia moglie, se non sono controllate a vista, oltre a far poco o nulla, rubano.
E' inutile ora far un triste elenco degli oggetti e dei soldi che sono mancati. D'altronde, abitavamo in un appartamento grande, con tre figli che andavano a scuola, mentre io e mia moglie eravamo impegnati nei rispettivi negozi, quindi non potevamo seguirle o far da guardia. Tuttavia, lasciatemi raccontare ciò che ha rubato l’ultima donna che abbiamo avuto. Non saprei se c'è da ridere o da piangere. Ditemelo voi!
Essendo in cinque a tavola, andavo con Teresa a comprare la parte posteriore d’un
quarto di manzo da Armido a Brognoligo, una frazione di Monteforte d’Alpone. Il
macellaio tagliava la bestia a pezzi e li metteva in appositi sacchetti adatti per il
freezer. Mia moglie s’accorse che la carne diminuiva più di quanto se ne consumasse. Nonostante non fosse il momento più adatto, visto che nel freezer era rimasto ben poco, prese nota del numero dei sacchetti rimasti con la Gelmina, nostra
fedele stiratrice da più di vent’anni. Ebbene, il giorno dopo che la donna era
venuta in casa, s’erano volatilizzati due sacchetti di ossi da brodo. Roba da
non credere: un paio di sacchetti di ossi! Qualunque commento è
superfluo, anche se qualcuno può pensare: “Poverina, non la pagavano e l’avevano
ridotta alla fame”. V'assicuro che non
eravamo ancora precipitati nei tempi poco felici del giorno d’oggi. Ma veniamo alla nostra Rosa,
l’unica che non rubava, anche se in compenso beveva, e di tutto beveva.
Per fortuna, ce l’aveva consigliata il prete della nostra
parrocchia. Meglio di così! si doveva per forza andare sul sicuro. L’aveva presentata come una
donna di casa, abbandonata dal marito e bisognosa d’aiuto. Scacciata dal marito
di sicuro, ma che avesse bisogno d’aiuto c’era da dubitarne, essendo la ex
moglie di un facoltoso e ricchissimo viticoltore della nostra Valpolicella che le doveva un milione di lire al mese, anche se questo spesso non veniva onorato.
Ma perché ora dovrei scrivere ch’era troppo buona o generosa, quando non era affatto vero? Quello che c’è da dire, lo si deve dire. Non dava valore al denaro. E non mi si venga a dire che questa è bontà, visto che l'estrema bontà come la saggezza hanno la stessa faccia della stupidità.
Ma perché ora dovrei scrivere ch’era troppo buona o generosa, quando non era affatto vero? Quello che c’è da dire, lo si deve dire. Non dava valore al denaro. E non mi si venga a dire che questa è bontà, visto che l'estrema bontà come la saggezza hanno la stessa faccia della stupidità.
Sul metro e settanta, sotto i cinquant’anni,
magra, d’una magrezza quasi da anoressica, piatta e senza culo, capelli castano
scuri e che avevano visto raramente la mano del parrucchiere, sempre in jeans e camicetta o in maglione a
seconda delle stagioni … Ho capito: volete
sapere com’era di viso? Beh! Quando era libero da ematomi per le percosse che
spesso prendeva, oppure non era alterato dalle sbronze perenni che si portava
dietro, poteva essere anche passabile. La puzza di vino però non l’abbandonava
mai, anche se qualche volta poteva averne bevuto solo qualche goccio.
Mia moglie, oltre all’usta che lasciava dietro
di sé, s’accorse ben presto di tanti piccoli difetti, e per un po’ di tempo pazientò. Un giorno,
giunta al limite della sopportazione, si confidò. Mi raccontò che in casa faceva ben poco, che
mancava il vino e che la vetrinetta degli alcolici si svuotava. Che fare?
Commisi l'errore di prenderla nel mio negozio come donna delle pulizie, pensando che almeno
in quelle poche ore non avrebbe potuto bere.
Quando in bottega entrava qualche cliente, per evitare tristi figure le
ordinavo di andare a pulire il cesso, oppure nel sottonegozio che fungeva da
magazzino e laboratorio. A volte, era talmente piena che non credo se ne rendesse conto del motivo per cui l'allontanavo. Veniva tre volte alla settimana per un paio d’ore, ma
erano più le volte che rimaneva a casa. Ammalata? Macché! … Scivolava, e con l’occhio sinistro andava
sempre a sbattere contro gli spigoli del frigo o contro le ante della cucina, a sentir lei.
Una mattina, un po’ prima delle dieci, spuntò
dal sottonegozio e barcollando s’appoggiò a una vetrinetta. Smorta come un
cadavere, con due calamari viola sotto occhi spenti e stralunati, con la lingua impastata borbottò:
- Sto male!
- Lo vedo e ti credo: sei ubriaca!... Va’ pure a
casa!
Un paio di settimane dopo mi chiese come mai
la tenessi ancora.
- E se ti mando via io, chi è che ti prende? –
le risposi.
- È per controllarmi, che mi ha tolto da casa sua?
- Vedi un po’ tu!
E non
seppe trattenere un paio di lacrimoni.
Quando al mattino spolveravamo il
negozio, svuotava il sacco e mi riempiva dei suoi guai. Mi raccontava delle figlie, dei sacrifici, dell’aiuto che aveva
dato per far crescere l’azienda di famiglia, e anche delle botte
che aveva preso dall’ex marito e da tutti gli altri uomini che ebbe dopo. Era stata più volte
dai Carabinieri a cantar qualcosa, senza però concludere mai nulla; anzi, la
consigliavano di ritirare le denunce.
S’era affezionata e si fidava a tal punto che, una volta,
voleva che le custodissi venti milioni di lire che provenivano dalla vendita
d’un appartamento ch’era stato di sua madre. Le dissi che non potevo farlo, che
per la Finanza non potevo giustificare quella somma anche se le avessi firmato
una carta come ricevuta che, a dir il vero, lei poi non pretendeva. Era
così ingenua da fidarsi di tutti. Le consigliai di portarli in banca, oppure di farsi
fare un assegno circolare o un libretto a lei intestato, e di farne una
fotocopia. Seguì il consiglio ringraziandomi qualche giorno dopo con una
scatola di cioccolatini.
Non solo s’era affezionata, credo che
non le dispiacessi, visto che dopo una settimana che aveva scacciato il moroso (non posso scrivere compagno o amante perché lei lo chiamava moroso),
in un momento d’affetto mi stampò sul collo un bacio che aveva il sapore d’un
invito. Fortuna volle che feci finta di niente.
Non so cosa raccontasse a casa, ma un giorno
mi piovve in negozio quel troglodita del suo moroso che, morso dalla gelosia,
dopo avermi fatto una scenata, minacciò me e la mia famiglia. Di conseguenza, le spiegai che non
potevo tenerla oltre, e a malincuore la lasciai a casa.
Di quella donna, magra come un chiodo, non bella, pregna di vino, sensuale
nonostante non possedesse nulla di attraente, e che aveva fatto ingelosire tutti gli
uomini che aveva amato, ne ho un ricordo triste. Solo una volta ho riso con
lei. E val la pena che ve lo racconti.
Dopo una settimana di assenza per
malattia, arrivò in negozio con l’occhio e la guancia che portavano ancora i
segni d’un incontro ravvicinato. Come saluto
di benvenuta, mi sfuggì di chiederle:
- Dime, Rosa! Ma cosa ghe feto ai to’
omeni che i te maca semper, invece de
gusarte?(1)
Si mise una
mano sulla bocca e incominciò a ridere, e a ridere così di gusto che, alla fine,
risi anch’io.
(1) Dimmi, Rosa! Ma cosa fai ai tuoi
uomini che ti picchiano sempre, invece di fotterti?
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