Per la mia folta capigliatura e per il fatto
che fin da piccolo ero piuttosto ribelle, a sedici anni cominciarono a chiamarmi
Calvino. Questo era il nomignolo comunemente usato sia dagli amici all’oratorio
che dai compagni di classe.
A essere sinceri, all'inizio mi dava un po' fastidio; come del resto poteva capitare per qualunque altro soprannome. Anche perché non credo che ne esista qualcuno accettabile, a meno che non sia un'abbreviazione o una vezzosa alterazione del nostro nome. Con il tempo, ci feci l'abitudine perché tutto sommato mi si attagliava alle perfezione. Con il cognome o il nome venivo chiamato solo durante gli appelli a scuola e in famiglia.
A essere sinceri, all'inizio mi dava un po' fastidio; come del resto poteva capitare per qualunque altro soprannome. Anche perché non credo che ne esista qualcuno accettabile, a meno che non sia un'abbreviazione o una vezzosa alterazione del nostro nome. Con il tempo, ci feci l'abitudine perché tutto sommato mi si attagliava alle perfezione. Con il cognome o il nome venivo chiamato solo durante gli appelli a scuola e in famiglia.
Ma che nella prima metà degli anni Sessanta gli
amici di mio fratello mi chiamassero "Senior", "Senior di Alta Borghesia" mi stava sul gozzo. Mi bastò vederli un paio di volte darsi di gomito e sentirli
sussurrare:
- Ecco che arriva Senior di Alta Borghesia.
Cos'era quella novità? E cosa voleva dire quel nuovo epiteto? Ne aveva già uno che mi stava a pennello e a cui aveva fatto ormai il callo. Quel senior poi, mi faceva pensare a quel simpaticone di mio fratello.
Cos'era quella novità? E cosa voleva dire quel nuovo epiteto? Ne aveva già uno che mi stava a pennello e a cui aveva fatto ormai il callo. Quel senior poi, mi faceva pensare a quel simpaticone di mio fratello.
S’era laureato a Parma in Giurisprudenza e s'era impegnato a gestire
il negozio di ottica di mio padre. Dotato di buona memoria, appassionato
d’arte e amante del sapere, si esibiva in chiacchierate che non avevano fine. Parlava
e parlava, citando autori noti e sconosciuti; se poi aveva qualche antipatia
pestava forte, mettendo avversari e presenti in tremende situazioni imbarazzanti. Con le ragazze suonava il piffero magico. Poverette, venivano via
più frastornate che incantate. Non era davvero secondo a nessuno per via di parlantina! Naturalmente, tentava con tutte quelle belle, e, se non ci stavano, le faceva passare per ignoranti come le zappe oppure per quelle che avevano "l’aglio che sapeva d'alito". Se poi indovinava qualche battuta, allora apriti cielo! non era
più finita. Se ne faceva bello e le citava fino alla nausea. Con le ragazze era d’una perseveranza
incredibile, come cane che non molla l’osso. A volte si esibiva in certe scene da baraccone da non sembrare addirittura normale. Ve ne narro una sola.
Un giorno, prima di pranzo, lo vidi tener con
una mano il telefono che stava sulla cassapanca dell’ingresso di casa e, allungando le braccia, con l'altra picchiare con un mestolo le pentole sul
lavandino della cucina. Tentava d’aver un appuntamento con qualcuna cui doveva
confessare cose importanti, a detta sua. Secondo la ragazza, era un pretesto per saltarle addosso. Ma lui spergiurava che non poteva spiegarsi al telefono,
dato il rumore proveniente dalla cucina. E queste sceneggiate le faceva anche
in presenza di mia madre che sconsolata scuoteva il capo.
Con le ragazze aveva anche una tecnica tutta sua, studiata a tavolino, secondo lui. Come dal cielo
scendevano le prime gocce, piantava lì tutto e saliva in automobile passando
dal fiorista dove acquistava un mazzolino. Batteva poi le fermate degli autobus
o le strade principali offrendo passaggi a tutte le ragazze che incontrava, sia
che avessero l’ombrello o che dal cielo venisse giù solo qualche goccia. Quando gli andava buca, da gran ruffiano portava i fiori a mia madre che si commuoveva sempre.
Alle malcapitate, al contrario, raccontava sempre la stessa solfa. Doveva andare da una ragazza a portarle un mazzolino di scusa, ma non se la sentiva, anche perché la vecchia morosa non lo capiva e c'era sempre da litigare. Ormai di quella non gli interessava più nulla, incantato dalla dolcezza e dalla bellezza di chi aveva davanti. E dopo averle offerto i fiori, sentiva il bisogno di rivederla. Applicava la legge di papà: ”Una su dieci ci sta”.
Alle malcapitate, al contrario, raccontava sempre la stessa solfa. Doveva andare da una ragazza a portarle un mazzolino di scusa, ma non se la sentiva, anche perché la vecchia morosa non lo capiva e c'era sempre da litigare. Ormai di quella non gli interessava più nulla, incantato dalla dolcezza e dalla bellezza di chi aveva davanti. E dopo averle offerto i fiori, sentiva il bisogno di rivederla. Applicava la legge di papà: ”Una su dieci ci sta”.
Ma per
quale motivo gli amici lo chiamassero “Alta Borghesia” mi sfuggiva. Tuttavia, c’impiegai
poco a scoprirlo, anche perché Vito non sapeva tenere neanche l’acqua.
Mio fratello aveva messo gli occhi su
una ragazza con una carrozzeria
targata Pininfarina. Questa ventunenne che frequentava la facoltà di
Filosofia a Milano, come seppi più tardi, aggiungeva a bellezza e fascino anche un titolo nobiliare.
Ricordo che mia madre in quel periodo era
molto preoccupata e che continuava ad allertarmi dicendo:
- Sta atent
a to’ fradel, l’è trop nervus; gho paura che el diventi mat per ‘na qual troia (1).
Infatti, tutto leccato di domenica usciva di casa verso le
dieci, per un controllo di sagrato, a suo dire. Mi spiego: usciva a quell’ora
per andare a vederla o incontrarla alla fine della messa, mentre nei giorni
feriali piantava in negozio mia madre e si recava in stazione all’orario del
suo arrivo da Milano per poterle dare uno strappo in macchina.
A forza di dai e dai, riuscì finalmente a
portarla a cena in una trattoria sul piacentino. E il colmo della discrezione
fu che anche i sassi sapevano che sarebbe uscito con lei.
Come ben possiamo immaginare, dopo averla
imbambolata di chiacchiere e vino, andò a parcheggiare in riva al Po a fianco
della Canottieri Baldesio, un luogo sicuro e frequentatissimo dalle coppiette in quel periodo. Forse s'era messo in un posto appartato e al buio pensando che, con un po' d'insistenza, lei si consegnasse. Un vero peccato che le siepi e le fronde degli alberi siano mute! Avremmo avuto dei testimoni attendibili, al posto delle chiacchiere di mio fratello o delle mie vane supposizioni. In macchina, dopo aver tentato i primi approcci, spazientito ed
eccitato Vito deve aver calato braghe e mutande. La ragazza senza far una piega, dopo uno sguardo di sprezzo se ne
uscì con:
- Atteggiamento borghese.
Mio fratello compiacendosi: - Prego, questa è
alta borghesia,- riferendosi al suo lui(2).
Era questa la versione che circolava.
Ma in una cittadina di sessantamila abitanti, le notizie si diffondono in un baleno, arrivarono anche alle orecchie della ragazza in questione che si premurò di dare alle amiche la sua versione. In effetti, come cambiano le cose dette da una persona all’altra!
Ma in una cittadina di sessantamila abitanti, le notizie si diffondono in un baleno, arrivarono anche alle orecchie della ragazza in questione che si premurò di dare alle amiche la sua versione. In effetti, come cambiano le cose dette da una persona all’altra!
A una chiacchiera che passa di bocca in bocca ciascuno
ne aggiunge un pezzo; ho cercato di togliere tutti i fronzoli che l’avevano più
o meno contaminata, e ne ho fatto una breve sintesi. E sentite quanto la soluzione purgata sia ben
diversa. Credo addirittura che ne abbia migliorato la vera versione.
- Atteggiamento borghese.
- Prego, questa è alta borghesia.
- Non sempre la nobiltà è costretta a chiedere
la carità alla borghesia… pur alta che
sia.
E sbattendo la portiera, uscì dalla macchina lasciandolo a bocca asciutta e a sedere scoperto.
E sbattendo la portiera, uscì dalla macchina lasciandolo a bocca asciutta e a sedere scoperto.
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